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Esame di coaching: un giorno che non dimenticherò più

esame di coaching

Qualche giorno fa Linkedin mi ha ricordato che sono tre anni da quando ho cominciato a lavorare come coach.

In effetti avevo aggiunto al mio profilo la data della cerimonia di graduazione (che ovviamente si è svolta online), in settembre.

Ma il mio esame di coaching, in realtà, era stato a maggio, e non me lo dimenticherò mai perchè è stato il giorno in cui hanno distrutto la casa del mio vicino a Gerusalemme.

Il percorso per diventare coach è tosto: ti richiede di studiare un sacco di materiale, di fare tantissimi esercizi, di stare ore connessa al telefono per le teleclassi, per non parlare della quantità di ore di pratica da completare. L’esame di coaching finale è il punto d’arrivo e di partenza, e anche se non passarlo è poco probabile, è sempre un momento stressante. Puoi avere imparato la tecnica, studiato a fondo le fondamenta del coaching, praticato finchè ti senti la coach più forte del mondo, ma non andrai mai all’esame come se fosse una passeggiata.

Per il mio esame di coaching avevo tutto organizzato: il marito e il figlio piccolo erano al lavoro e a scuola, il figlio più grande, in visita dalla Francia, sapeva che non doveva entrare nella mia stanza per nessun motivo.

Non sapevo ancora che gli israeliani avevano scelto quella mattina per darci una ragione tragica per stringerci l’uno all’altro in modo da trovare la forza per affrontare la situazione.

esame di coachingQui ho già raccontato come è successo, ma poi non son più tornata a considerare il dolore che l’evento di quel giorno mi ha provocato.

Quando la sessione d’esame è cominciata, gli israeliani avevano già distrutto una baracchetta che il mio vicino aveva costruito sulla sua terra per conservare gli attrezzi. Il rumore era stato totale. Con voce tremante, ho spiegato al mio supervisore e ai colleghi che se avessero cominciato a distruggere la casa durante il mio turno, sarebbe stato impossibile per me sentire, e farmi sentire.

Abbiamo cominciato. Io ho tenuto tutto il tempo gli occhi sulla scena fuori dalla finestra. Soldati letteralmente ovunque. Due bulldozer che scaldavano i motori, spari, e gli addetti che svuotavano la casa del mio vicino. Che portavano fuori una culla, una lavatrice, quadri, sedie, giocattoli. Tutto ciò che aveva formato la vita di quell’amata famiglia tra le mura che erano loro.

Non so, davvero non so come ho fatto a rimanere seduta e a non precipitarmi fuori per essere con loro in quel terribile momento. Poco prima del mio turno, ho visto arrivare il nonno della casa. Quel dolcissimo ottantaduenne, si è messo a guardare impotente i suoi oggetti sparsi per la strada davanti alla casa che di lì a poco non sarebbe più esistita.

CasaIn qualche modo ce l’ho fatta. Ho chiuso il cuore, gli occhi, e mi sono concentrata sul mio esame di coaching. Nel momento preciso in cui ho finito, il bulldozer ha alzato il suo collo assassino e ha cominciato a distruggere il balcone della casa.

Sono corsa fuori. L’intera famiglia, amici, giornalisti erano raccolti nel nostro giardino. Ogni volta che penso a quello che è successo da quel momento, mi viene voglia di piangere, e sento una devastante tristezza. E un sacco di rabbia. Non ho mai davvero voluto ammettere quanto traumatico è stato quell’evento per me. Anche perchè pensavo, chi sono io per lamentarmi? Ho una casa, anzi, più di una, e nessun (dis)umano me la porterà mai via.

L’anniversario del mio esame di coaching mi ha riportato, vividi, i ricordi di quel giorno. Ho controllato se avevo ancora il messaggio che il mio supervisore mi ha mandato il giorno dopo l’esame:

Sei stata brava a essere “la coach” oggi. Così paziente e presente col tuo cliente nonostante le condizioni avverse. Questo è veramente ammirevole. Mi dispiace tantissimo che tu sia dovuta passare per un momento così duro. Sono davvero contenta che tu abbia riconosciuto la tua forza. Sei assolutamente emersa come vincitrice, e quello che hai imparato ti aiuterà per il resto della tua vita. Ha toccato anche tutti noi, e attraverso di te abbiamo tutti imparato una grande lezione: non scappare quando sei colpita duramente. Grazie di cuore per essere una coach e una persona così brillante. 

Forse non sarei la coach che sono oggi se non fossi passata per quell’esperienza. Sicuramente mi sento a mio agio con lo stress, se capita che arrivi durante le sessioni, dopo quello che ho passato il giorno del mio esame. E ogni volta che parlo ai miei clienti di flessibilità, pazienza e motivazione, ringrazio in silenzio i Palestinesi, per essere il mio esempio più luminoso.

 

Claudia Landini
Settembre 2016
Foto ©ClaudiaLandini

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