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Dire no è importante: la mia personale esperienza

dire no

Perchè secondo me è importante sforzarsi di dire no.

Qualche giorno fa ho visto il mio amico Issa online su Facebook e ho cominciato a chattare. Dopo pochi minuti, mi ha detto che l’avevo interrotto mentre stava pulendo la casa, e che era spiacente, ma magari avremmo chattato meglio un’altra volta. Voleva davvero continuare le pulizie. Mi ha reso così felice sapere che invece di chattare controvoglia ha scelto di dirmi apertamente che stava facendo altro.

Questa cosa succede raramente nelle interazioni, e per me sta diventando un vero problema. So che è difficile dire no. Alcune culture hanno creato dei meccanismi molto intimi per evitare a tutti i costi di dirlo. In Honduras e in Perù non ho sentito un no in dieci anni. Invece di dire no, in Honduras usano l’espressione  “fijase que” (figurati che) e i peruviani “lo que pasa es” (quello che succede è che…). Mi ci è voluto un po’ per impararlo, e sono passata per brutti momenti nel processo (come quando tutti mi hanno assicurato che avrebbero mandato i loro figli al compleanno del mio e non si è visto nessuno), ma quando l’ho capito mi sono sentita molto meglio. Sapevo che quando la frase cominciava con una delle due espressioni, non avrei avuto una risposta positiva al mio quesito.

Col passare del tempo, mi sono accorta che anch’io avevo la tendenza ad evitare di dire no. E’ difficile dire no a qualcuno che vuole venire a trovarti, che conta su di te per qualcosa o ti invita a fare qualcosa che non ti piace. Ci preoccupiamo sempre di ferire gli altri, e ferire gli altri è duro.

Quello che non capiamo è che evitando di dire no quando in realtà questo è ciò che avremmo voluto dire, facciamo ugualmente del male alla persona. Prima di tutto perchè c’è un mondo di codici di comunicazione che parlano molto più delle parole, e la persona capirà sicuramente quello che c’è davvero dietro a ciò che abbiamo pronunciato verbalmente, e secondo perchè dicendomi sì quando in realtà vorresti dirmi no, mi fai capire che non mi giudichi adatto a relazionarti a me in modo onesto.

Screen Shot 2014-04-11 at 10.02.28 AMCome sapete, qualche mese fa ho lanciato una piattaforma per professioniste espatriate in tutto il mondo. In questi tempi di connessione, rete e relazioni usa e getta, sviluppare una nuova idea è uno sforzo monumentale. Da quando ho lanciato ExpatWomen at Work, ho contattato decine di professioniste espatriate che penso troverebbero un grande senso nella mia piattaforma. Racconto loro il progetto, e le invito a unirsi. Le reazioni variano, e quasi sempre sono contente di entrarne a far parte. Altre (molto raramente) mi dicono di no, vuoi perchè non sono interessate o perchè non vogliono mostrare il loro profilo in rete, il che è comprensibile.

Una buona parte di queste donne, però, mi dice SI’, a volte anche con grande entusiasmo, e poi non si fa mai più vedere. Dopo un po’ che non le sento, le ricontatto per assicurarmi, ad esempio, che non ci sia stato qualche problema tecnico di ricezione, e a quel punto parte la trafila di scuse: sono occupata, ho avuto un figlio malato, mi facevano male le dita e non potevo scrivere…Non capiscono che facendo così mi fanno più male che non se mi avessero detto subito e con tranquillità che non sono interessate. Mi comunicano che non si sentono a loro agio a rifiutare, il che per me è un grande problema; fanno passare il messaggio che non comunicare è un modo migliore che aprirsi a una conversazione sincera, diminuendo così la mia speranza di una comunicazione sempre migliore nel mondo; e non mi danno motivi specifici del perchè non vogliono unirsi, lasciandomi così dubbiosa sull’efficacità del progetto.

Ripeto, anche per me è difficile dire no. Ma so che se non parto da queste piccole e semplici cose, come accettare di far parte di un gruppo o chattare anche se sono occupata, metto a rischio la mia capacità di essere onesta e sincera, mentre credo che questi siano valori fondamentali per comunità sempre migliori, relazioni più sane e crescita positiva.

 

Claudia Landini
Aprile 2014
Foto principale: Gemma Evans su Unsplash

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