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Un posto che chiamiamo casa

posto che chiamiamo casa

Il posto che chiamiamo casa è in Toscana, in una delle terre più meravigliose al mondo.

Vi racconto la storia di come abbiamo trovato la nostra casina, e della gente meravigliosa che ci ha fatto incontrare.

Quando comincia l’estate e sentiamo che si avvicinano le vacanze, in famiglia cominciamo a scambiarci messaggi sulla nostra casa in Toscana, il posto che chiamiamo casa. E’ più forte di noi. Messaggi semplici, corti, che esprimono tutto il desiderio accumulato per il momento che sta per arrivare; cioè, quando non solo saremo insieme per un periodo lungo, ma insieme nella nostra amata casa in Toscana.

Ne ho sempre parlato tanto, ma quest’anno sarà diverso perchè dall’ultima volta che ne ho scritto, dopo la nostra triennale, tutti e tre i fratelli che hanno reso possibile il nostro sogno ci hanno lasciato. Ovviamente sapevamo che il momento sarebbe arrivato, ma questo non cambia il fatto che ci sarà per sempre un senso di vuoto nei campi che circondano la nostra casa, adesso che non ci sono più.

Con questo post voglio ricordarli e onorarli, perchè se oggi abbiamo un posto che amiamo così profondamente e che noi e i nostri figli chiamano casa nel senso più caldo del termine, è esclusivamente grazie a loro. Lo farò condividendo alcune foto storiche. Questa è la prima, e la più importante:

 

 

Eravamo giovani (moooooolto giovani) e il nostro sogno era di trovare una casetta da ristrutturare in Toscana. Avevamo cercato a lungo, preso tutte le strade bianche possibili e immaginabili, chiesto a tutte le anime vive nei villaggi, se qualcuno aveva o conosceva qualcuno che aveva un rudere da vendere. Lo facevamo durante le vacanze – Natale, Pasqua, estate – e tra una missione in Africa e l’altra.

Avevamo quasi rinunciato, gli inglesi e i tedeschi con le loro monete forti erano riusciti a comprare quasi tutto in zona. Però continuavamo ad andarci perchè durante le nostre ricerche ci eravamo innamorati perdutamente del Volterrano. La foto sopra è stata scattata in una vacanza di Pasqua, quando abbiamo portato qualche amico e mio fratello a vedere la zona. L’uomo sul trattore è il secondo di tre fratelli della famiglia che ci ha venduto la casa. E’ lui che ha pronunciato la storica frase: “…ma io una casina ce l’avrei…“. La foto è stata presa esattamente in quel momento, quando mio marito (in rosso) stava spiegando che eravamo una giovane coppia milanese alla disperata ricerca di un rudere da ristrutturare con calma.

L’uomo sul trattore ci ha portati alla sua fattoria, dove c’era anche il fratello maggiore, in un punto dove si riusciva a vedere  bene il “nostro” rudere. Non dimenticherò mai mio marito che guardava nel canocchiale e sussurrava: “Claudia, forse l’abbiamo trovata”.

Questa foto è stata presa poco dopo aver guardato la casa col canocchiale:

 

 

Quello appoggiato alla 500 bianca è il fratello maggiore. Stavamo tutti (amici inclusi) discutendo la cosa. Se noi eravamo eccitati ma tentavamo di controllare le aspettative, dopo le numerose delusioni, anche i due fratelli erano lievemente sotto shock: non avevano mai davvero pensato di vendere la “casina” (loro la chiamavano così), che si trovava sui campi che lavoravano da anni, e che da sempre usavano come rifugio dalla pioggia dopo che gli ultimi contadini l’avevano abbandonata negli anni cinquanta.

Erano preoccupati soprattutto dal fatto che venderla avrebbe tolto loro il diritto di lavorare sui campi che la circondano. Prima di continuare a discutere, decidemmo di andare a vederla da vicino, per capire esattamente quanti lavori andavano affrontati per renderla abitabile. Con la piccola Citroen di mia madre, ci lanciammo su una strada in mezzo al bosco, attraversammo un fiumiciattolo, e arrivammo a quello che oggi è il posto che più amiamo al mondo:

 

 

La casa da una parte era così:

 

 

E questo era l’altro lato:

 

 

Ce ne siamo immediatamente innamorati. Era della giusta misura per noi, bella, in un posto meraviglioso e isolato, che era esattamente quello che cercavamo.

Non ricordo se abbiamo cominciato a discutere seriamente il prezzo coi fratelli in quella o in un’altra occasione. Forse gli abbiamo lasciato il tempo per pensare e discutere bene tra loro prima di prendere la decisione di vendere, e siamo tornati più avanti. Quello che so è che a un certo punto è successo qualcosa di magico, perchè non solo hanno deciso di vendercela (e so quale dei fratelli ha insistito a nostro favore, dato che non tutta la famiglia era a suo agio con l’idea di vendere), ma ci hanno anche chiesto esattamente la cifra che noi potevamo permetterci di pagare.

Il resto è storia: abbiamo firmato il rogito quando il nostro primo figlio aveva un anno, e non siamo riusciti a toccare la casa per molti anni perchè non avevamo i soldi per ristrutturarla. Quando abbiamo cominciato, ci andavamo ogni estate, tentando di spingere i lavori e sperando di finire al più presto, perchè morivamo dalla voglia di entrarci. Il che è successo nel 2007, e da allora la casina è stata un punto fisso nelle nostre vite nomadi. Ha ospitato un sacco di amore, vita, risate, amicizia, bellezza.

Ma naturalmente la magia di tornarci ogni estate era anche il rivedere gli amati fratelli e la loro famiglia. Mai, nemmeno per un attimo abbiamo dimenticato che è stato grazie a loro che il nostro sogno si è avverato. E tornare ogni anno e trovarli era speciale quanto avvicinarci al panorama che circonda la casa, e sentire i cuori aprirsi.

Il fratello più giovane, una persona fantastica, è morto poco dopo che abbiamo cominciato a usare la casa. Una notizia devastante ma l’inizio di una profonda amicizia con sua moglie, suo figlio e sua nuora, che siamo sempre felici di ritrovare quando arriviamo nella nostra amata Toscana.

Il fratello di mezzo era molto malato alla fine, ma ci accoglieva sempre con gioia e affetto. Un giorno, quando soffriva già tanto, ha insistito perchè andassimo a “far merenda” da lui. Sua moglie era preoccupata perchè lui voleva a tutti i costi tagliare il prosciutto con le mani tremanti. Lui però era orgogliosissimo di essere riuscito ad averci con lui, e a nutrirci.

Quel pomeriggio, che ricordo come uno dei più dolci che ho trascorso in compagnia di questa incredibile famiglia, ci ha raccontato tantissimo del suo passato. Di come si era messo il suo fratellino, ancora bebè, sulle spalle, durante la guerra, ed era scappato nei boschi per mettersi in salvo durante i ripetuti attacchi sulla zona. Ci ha parlato ancora della casina. Ci ha detto quanto fertile e ricco fosse il suolo intorno, di come le mogli dei fratelli andassero sempre a prenderci le pesche, le albicocche e il mirto. Mi ricordo di essere tornata alla casina, quel pomeriggio, col cuore pieno d’amore e gratitudine.

Siamo riusciti a farci ancora qualche foto insieme l’estate prima che lui e sua cognata morissero:

 

our house in tuscany

 

Lo scorso anno è morto anche l’ultimo fratello. Manteniamo l’amicizia coi loro figli, anche loro persone speciali, ma niente colmerà mai il senso di vuoto quando passiamo dalla loro fattoria, adesso, e non vediamo una delle mogli che ci viene incontro urlando felicemente: “Madonnina, come sono cresciuti!!!” (i nostri figli), o il trattore guidato da uno dei fratelli che accarezza l’amata terra.

 

Claudia Landini
Giugno 2016
Foto ©ClaudiaLandini

Comments (6)

  1. Che bella storia…
    Lo sai che anche noi abbiamo un rudere? Volevamo farci un agriturismo, ma poi abbiamo scelto di fare i nomadi,,,abbiamo cercato di vendere tutto, ma è ancora là…chi lo sa…

  2. Leggere le tue storie è semprebellissimo! Sono piene di amore e dolcezza….
    Grazie!
    Anna

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