Sentirsi escluse fa bene
Son davanti al pc perché dovevo partecipare a una riunione molto importante, alla quale, per qualche ragione a me sconosciuta, non mi lasciano accedere. Per non soccombere alla rabbia, che di rabbia ne ho già dentro tanta, faccio partire la riflessione sul sentirsi escluse.
Non riesco a ricordare momenti, nella mia vita, nei quali mi sono sentita esclusa. Davvero esclusa, intendo. Della serie:
Questa per me era una riunione molto importante. Da un paio di mesi mi sono unita a un gruppo di coach che stanno sollecitando l’International Coaching Federation affinché corregga alcune azioni che puntano chiaramente a uno squilibrio in termini di inclusione. Oltre a richiedere che il genocidio in corso a Gaza venga riconosciuto come evento totalmente contrario ai valori sui cui si fonda ICF.
Molti di noi coach sono membri di ICF e la considerano (quantomeno l’hanno considerata finora) l’associazione di categoria, che li rappresenta nella loro professione. Penso sia inutile che vi ricordi quanto importante sia che i valori che guidano la professione si riflettano nelle azioni e nelle decisioni di chi ci rappresenta.
Questo non è successo con ICF, ed è stato con grande piacere che ho accolto l’iniziativa di alcune colleghe e colleghi di unirsi e alzare la voce per non lasciar passare il tutto sotto silenzio.
Fino ad oggi.
Dopo un modesto scambio di lettere tra il gruppo di coach coinvolti e ICF, questo pomeriggio dovevamo trovarci per discutere di persona. Una riunione molto importante, dunque, perché i punti che avevamo sollevato nella nostra corrispondenza erano piuttosto scottanti. Io mi trovavo a Milano per le mie terapie, e sono partita molto presto questa mattina per essere in tempo davanti al pc all’ora stabilita per la riunione. Solo che…
Quando mi sono loggata al link che mi era stato fornito, mi è uscito un messaggio che diceva che l’host mi aveva bloccata. Mi è parso molto strano, visto che mi presentavo col mio nome e cognome e le persone di ICF coinvolte nella discussione mi conoscono bene, il vicepresidente (che ha organizzato l’incontro) era anche con me in una breakout room durante un meeting in cui si parlava dei nostri sentimenti ed emozioni di fronte al genocidio.
Ho provato a riloggarmi e mi è uscito il messaggio che vi ho mostrato sopra. Ovviamente ero collegata via mail e whatsapp con i miei colleghi/e, e ho subito fatto presente il problema. Dopo un quarto d’ora di silenzio, e quando ho chiesto se avevano già cominciato la discussione, mi è stato detto che avevano fatto presente che io non riuscivo ad entrare, e che avrei dovuto loggarmi da un altro device. Ma io di device ho solo il mio computer e il telefono, e anche quest’ultimo non mi faceva entrare.
Risultato: la riunione è andata avanti senza di me. Né ICF nè i miei colleghi/e hanno pensato a una soluzione per includermi.
E’ brutta la sensazione di sentirsi escluse. Non l’avevo mai provata con questa veemenza prima. E mi ha fatto veramente male.
Poi però ci ho riflettuto, di nuovo misurandomi con il genocidio, che è diventato il mio metro per tutto: perché non usare questa lezione per capire ancora più a fondo come si sentono i Palestinesi e tutti gli essere umani che sono esclusi dal benessere, dalla giustizia e da una vita degna? In fondo lo dico sempre: non c’è nulla come l’esperienza personale per capire le cose a fondo.
E quindi eccomi qui: arrabbiata, anzi, schifata, sto trattenendo le lacrime mentre scrivo, ma mi sento anche più ricca perché anche se in un contesto totalmente ininfluente, e sicuramente senza importanza rispetto a quello che sta succedendo al mondo, per un attimo ho davvero provato cosa vuol dire sentirsi escluse.
Claudia Landini
Volterra, Italia
Settembre 2025
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