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Coaching e genocidio

Da quando è iniziato il genocidio, tutto è diventato più difficile, incluso lavorare. Perché, per quanto mi riguarda, coaching e genocidio non possono coesistere.

In questi giorni c’è un grande dibattito, tra alcuni coach che aderiscono all’International Coaching Federation, sul coaching e il genocidio in atto sul popolo palestinese. Sostanzialmente molti di noi si chiedono com’è possibile che la federazione, un organo nel quale ci riconosciamo e che ci rappresenta come professionisti, non abbia ancora preso una posizione chiara e netta contro il genocidio. Cosa gravissima, perché il coaching si basa principalmente sul valore dell’umanità, che è uno dei quattro riconosciuti dalla nostra federazione.

Da mesi stiamo tentando di riconciliare il nostro lavoro con quello che israele sta facendo ai Palestinesi e al mondo. Com’è possibile lavorare ispirandosi al valore dell’umanità, quando tutti i giorni vediamo immagini di pura disumanità che scorrono sui nostri schermi? E sappiamo che nessuno, neanche le istituzioni e i governi nei quali magari credevamo, fa nulla per fermare tutto ciò?

Ho tentato di mettere insieme alcuni spunti che mi aiutano,  e magari aiutano anche voi, non necessariamente coach, ma che soffrite qualsiasi sia il vostro lavoro, nel dover continuare come se nulla fosse quando il mondo sta cambiando irreversibilmente a colpi di bombe su bambini e bambine innocenti e inermi.

Parlare di genocidio durante il coaching fa bene

Il coaching non è un processo politico e non è nemmeno lo spazio dove il coach deve esprimersi liberamente su questioni slegate dalle esigenze dal cliente. Tuttavia, riconoscere il genocidio in qualsiasi spazio delle nostre vite, e fare qualcosa, anche una piccolissima azione, per contribuire a fermarlo, è diventato di fondamentale importanza. Anche i nostri clienti stanno soffrendo. Provare, con estrema gentilezza e delicatezza, ad aprire uno spazio di dialogo su quanto sta succedendo, può essere un’idea da considerare.

Avendo vissuto in Palestina, per me è più facile introdurre il discorso, perché non devo abbordare direttamente il genocidio, ma posso arrivarci trasversalmente, magari quando, nella fase conoscitiva reciproca, ci si prende qualche minuto per raccontarsi.

Una volta mi è capitato di dare una formazione a un manager statunitense che andava a lavorare in Italia. Quando ci siamo collegati, ha esordito dicendomi che aveva guardato il mio profilo, sapeva che avevo vissuto vari anni in diversi paesi africani, e mi chiedeva di parlargli d’Africa dal punto di vista della mia esperienza diretta. Sosteneva che l’immagine del continente africano che i nostri media forniscono è estremamente stereotipata, ed era difficile per lui trovare fonti libere da pregiudizi.

Questa cosa mi ha fatto capire ancora meglio quanto grande sia il potere di chi ha vissuto direttamente nei luoghi, o chi, per qualche motivo, è più ingaggiato e informato della media. E’ nostro dovere condividere il verbo, o quantomeno provarci.

Come onorare un valore così bistrattato

Come continuare a trovare un senso nel valore dell’umanità quando questo viene sistematicamente negato da mesi e nemmeno le nostre istituzioni se ne preoccupano? L’unica risposta che  ho trovato, l’ho formulata qui. E’ una risposta amara, e si basa sul fatto che tutto quello che sta succedendo può aiutarci ad affinare la nostra umanità, a diventare esseri umani migliori, ora che ci rendiamo conto che abbiamo miseramente fallito. Che non abbiamo fatto abbastanza per fermare questo genocidio annunciato.

Dobbiamo coltivarci come persone, e quindi come coach

Soprattutto in questo momento dolorosissimo, è molto importante continuare a coltivarci come persone, e quindi anche come professioniste. Prendersi cura di noi in questo momento può voler dire tante cose. Personalmente, questo si traduce nell’ammettere, senza sentirmi in colpa rispetto ai Palestinesi che stanno soffrendo indicibili pene da anni, che tutto quello a cui assistiamo da mesi ha un effetto su di noi, ed è un effetto devastante. Riconoscere il trauma è il primo passo per guarirlo (o conviverci). Ed è quello che stiamo facendo con il gruppo di coach di cui vi ho parlato sopra e nell’altro mio post.

emozioni del coachingIn generale, non bisogna aver paura di parlare e prendere posizione. Fa molto meglio alla nostra salute mentale affermare con determinazione quelli che sono i nostri valori di fronte a questo genocidio, che star zitte e sole nel nostro angolino. E far qualcosa, qualsiasi cosa ci metta in connessione con la situazione. Agire è il miglior antidoto alla disperazione.

Momenti di umanità durante le sessioni di coaching

Onorare i propri valori significa trovare canali per esprimerli: a parole, fatti, emozioni. Forse in questo terribile momento ci può aiutare sentirci e farci sentire ancora più umani. Durante le nostre sessioni di coaching, concentriamoci su questo: come possiamo comunicare ai nostri clienti che li accogliamo con grande umanità e senza giudicare? Magari sforzandoci ancora di più per andare incontro alle loro esigenze, esprimendo vicinanza, empatia e accoglienza in modo ancora più profondo. Amandoli ancora di più.

Spero di avervi dato qualche spunto utile. Sicuramente è stato utile a me pensarci.

Restiamo umani.

Claudia Landini
Milano
Agosto 2025
Foto principale di Emad El Byed su licenza Unsplash
Le altre foto sono mie

 

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